Alcune poesie tratte dalla sezione
del libro in preparazione intitolata
LA VITA, L’AMORE, LA MORTE
CAORLE E DINTORNI
Pigri, su fossi di canne,
decollano aironi; garzette
promettono premi gustosi
alla propria pazienza infinita,
pescatrici esperte e spietate.
Le lepri non temono schioppi:
“RISERVA DI CACCIA”
e loro, già leste e furbastre,
benché di stagione, sanno tutto,
sedute nell’ombra dei pioppi.
Nei campi, altissimo il mais
è il complice più compiacente
di coppiette che rubano in auto
un brevissimo istante d’incanto,
per confondersi, poi, tra la gente.
La sirena spaventa i gabbiani,
mentre l’urlo che agghiaccia
è quello del padre del bimbo
annegato con due fratellini.
Quaggiù è più vicina la Morte,
ma più dolci la Vita e l’Amore!
CACCIA GROSSA
Alla piccola Nadia
Ho visto i bisonti,
li ho visti davvero,
di notte, in mezzo
alla nera foresta,
col mio cane
e Nadia bambina
(che ormai
non c’è più,
uccisa dal padre
alla caccia!)
e Franco sicuro
che fossi ubriaco
alle 3 di mattina
al telefono.
E forse lo ero,
ma i bisonti
li ho visti davvero
e in spalla la bimba
non porterò più …
ARDERE D’AMORE, CORRERE
E NON BRUCIARE MAI *
Perché nient’altro conta,
se non amare il Tutto
– corpo ed anima:
il vecchio moribondo
e il bimbo appena nato,
la madre che riprende
e l’amica che ti coccola,
la sfida che ti esalta
e il compito più ingrato,
l’amante che gratifica
e la furia infanticida!
Correre assetati
di vita e questo amore,
correre e non fermarsi,
ma cogliere l’essenza
di questa Grande Gita,
senza stupide paure
né ridicoli rimpianti,
condividere con gli altri,
trovarsi sempre in tanti,
poi ardere con ferocia
e non bruciare mai!
(* Titolo per gentile concessione dello scultore RAUL BARATTIN,
1° Premio, Ex-tempore di scultura su legno, Belluno, novembre
2003, la cui opera omonima ha ispirato questa poesia.)
A VENEZIA, QUASI UN PELLEGRINAGGIO
Rivederti è stata una gioia:
si è riaperta una porta del cuore
che avevamo lasciata socchiusa.
Hai sofferto, si vede, ma questo
ti ha anche resa perfino più bella,
trasformata, ti sei sublimata.
Al lasciarti rinchiusa là dentro,
poi Venezia era molto diversa,
come tutta la Vita è adesso.
Da quando tu sei rinchiusa,
da quando tu stai nella gabbia,
da quando… tu non ci sei più.
MERLI AFFAMATISSIMI SUL MELO
A casa di Franny
i merli sul melo
approfittano della premura
della Gemma, la vecchia
padrona dell’orto.
Lei parla – Francesca –
dei nuovi morosi
(io sono il vecchio!)
e chiede: ma tu, ora,
una donna ce l’hai?
Rispondo distratto
di no, ma in testa
ho già un’altra gemma –
la pietra preziosa che sei…
POMERIGGI IN GRIGIO-GIALLO
Solo il piombo è più pesante dell’aria,
che a fatica ora respiro a denti stretti.
Un merlo, l’unico, mi dedica una tiritera,
io cerco invano un po’ d’aria più pura,
mentre alle tre già minaccia la sera.
Poi giungi tu, luce gialla sui tetti,
piena di gioia travolgente ed intensa,
che ci salva da queste tenebre premature.
Lo spirito allora vuole solo spaziare,
volteggiando sopra boschi e radure,
dove il tuo ossigeno ristora ma inebria.
MASIERE A NOVEMBRE
La cava spettrale di notte,
le stelle, un’intrepida rosa
di ottobre che ancora resiste
e tu – solo a un tiro di schioppo –
che dormi serena i tuoi sogni,
così privi di mostri e castelli.
Ed io, ridondante Chisciotte,
rido e grido da solo alla luna,
che mi guarda, maligna, beffarda,
che mi scruta, infingarda, indolente,
che stasera non sembra più te.
Né io sarò mai più io. Né me.
QUANDO LACRIME PIOVONO
DA IMPROBABILI LIANE
Questa sera è umida e silenziosa.
Tu sei lontana, ma ti sento qui vicina,
forse nascosta fra le improbabili liane
del vecchio bosco lungo la ferrovia.
Mi accorgo che perfino questa lacrima,
perché un dono meraviglioso che tu mi dai,
è dolcissima e delicata e preziosissima,
come il sorriso innocentissimo di un bimbo.
SICURA PASSERELLA SUL TORRENTE
Qualche volta ho la netta sensazione
che tu sia un po’ come questo torrente:
bello, sì, pieno di vita, pulito e forte;
eppure freddo e a tratti anche gelato e
magari nasconde pure qualche insidia.
Molto meglio stare quassù ad ammirarti
dal sicuro di una passerella vacillante,
che tuttavia – stomaco a parte – presenta
sicuramente pochi pericoli e trascurabili,
in attesa lunga e paziente che le tue acque
si scaldino un poco, abbracciate dall’estate.
LACRIME PER VIVERE
Perché non dovrei esserti grato
anche per queste lacrime, che,
discrete e silenziose, scivolano
giù per le gote e fino al collo,
giù senza pudore, fino a bagnare
il colletto della camicia cara,
quella presa a Londra,
a righe bianche e blu?
Queste lacrime sono un distillato
di tante meraviglie, di ciò che sento
intensamente e solo attraverso te:
tu mi fai sentire e, finché sento, vivo!
TUTTA QUESTIONE DI MIRA?
A tutte le Donne e tutti gli Uomini
Gli uomini, tutti, o quasi,
sono dei grandi imbecilli:
incapaci perfino di fare centro
quando si tratta di pisciare dentro
un semplice, banalissimo cesso.
Le donne invece, molto più in gamba
loro, centro lo fanno sempre, quasi
sempre. Tranne cioè quando si tratta
di scegliere il giusto uomo-bersaglio.
FAVOLETTA FINALE
Un giovane incontrò
un vecchio innamorato,
che stava ad ammirare,
estatico, il tramonto.
Si vede, disse il giovane,
che sei innamorato,
ma lei mi sembra troppo
bella e troppo giovane.
Lo sai poi come vanno
le storie come questa:
non hanno mai futuro,
tu soffrirai soltanto!
E il vecchio gli rispose
Lo so che soffrirò,
ma io non voglio
perdere una virgola
di questa nuova
favola incantevole;
potrebbe essere
l’ultima che ascolto.
E tu, amico mio,
non devi aver paura
di vivere la Vita
in ogni istante!
FIGLIO DI UN CANE
Dedicata a me stesso
Ho avuto tre madri.
Una alla volta, purtroppo,
a turno, tutte e tre
mi hanno lasciato,
cucciolo in autostrada;
da grande, un Chisciotte,
delirante poetucolo
tra i biechi, fumosi
mulini a motore,
mostri ruggenti
assetati di sangue.
Eppure resisto, io sì,
sono qua e perfino
il Pizzocco, maledetta
montagna d’infanzia,
è crollato prima di me!
Il problema è un altro:
io le adoro, eppure …
le donne le lascio.
O a volte sono loro
che lasciano me –
nuove madri spietate.
Ma io oramai le conosco –
le autostrade – e, vecchio
cagnaccio randagio,
un pezzo di pane
bene o male lo trovo.
E un caldo giaciglio.
Talvolta, perfino carezze.
DUE SIGNORE A BRACCETTO
A Laura, poetessa romana
Portatemi i colori della Terra,
che io mi vesta come andassi a nozze,
resti poi così e non mi spogli più.
E viva come fossi flora e fauna,
aria ed acqua, la nuvola ed il mare.
E quando verrà Quella-che-non-erra,
io sarò tutto pronto alla partenza,
dovrò soltanto spegnere la luce.
CONFLITTO D’INTERESSE
Il tuo sorriso offusca il colore dei tuoi occhi,
che non ricordo, solo sensazioni trepide
e la pioggia cade tiepida come tante tue dita
che appena mi accarezzano, titubanti, timide.
Ricordo sguardi quasi impercettibili, altri
non fugaci, ma intensamente teneri, pieni di
vaghe illecite promesse, dolci insinuazioni,
dolci cioccolatini dati di contrabbando.
Allora sulla terra, a malincuore, lento scendo,
mentre una pioggia autentica imperversa
e qui mi rendo conto che sei soltanto un sogno!
COME NON PIÙ DA TEMPO
Tu sei bella e giovane come il mattino un sole
dopo l’acquazzone che tutto ha reso terso,
bella come il guizzo rapidissimo del rondone,
bella come una pozza che rispecchia un cielo.
Sei bella come collane di monti all’imbrunire,
bella e pura come il canto stonato di un bimbo,
viva e fresca come lo scatto verde del ramarro,
dolce quintessenza sublimata in un Sorriso.
Tu sei tutto questo e molto più di un sole,
tu sei tutto ciò che io potrei essere stato, forse,
ma non potrei mai più, eppure, quando tu ci sei,
io torno ancora ad essere quello che un tempo fui!
PIOGGIA LIBERATRICE
Vorrei essere fatto di qualche materiale
che sia interamente solubile in acqua.
Allora resterei qui, sotto questa pioggia,
troppo fredda per la nostra primavera,
fino a sciogliermi del tutto, totalmente,
andando a intridere questa terra aliena
di tutto ciò che c’è di buono e di cattivo
dentro questo me che forse non sono io.
E mi calpesterebbe, noncurante, ignaro,
questo simpatico topone, grigio e timido.
Ma nel momento estremo, in quell’istante
sapido che precede il passaggio nel nulla,
il mio spirito evanescente sarebbe madido
di una sola sostanza: il tuo trio sillabico.
PER CHI SUONA LA CAMPANA
“… and therefore never send to know
for whom the bell tolls; it tolls for thee.” *
John Donne
È morto uno, senti?
Come, un altro, oggi?
No, sempre lo stesso.
Ma già lo sapevamo,
è morto l’altro ieri…
Che noia di campane,
sembrano da morto!
Sono da funerale,
non senti quei rintocchi?
È morto uno, ho detto!!
Ma allora… è morto proprio?
No, Proprio non è morto,
è morto un UOMO, oggi.
* (E perciò non mandare mai a chiedere
per chi suona la campana: essa suona per te.)
COME FARFALLA
Mi si è posata sulla mano una farfalla,
bellissima e dai colori più fantastici,
strabilianti, inverosimili, variopinti;
dalle tinte che conoscevo nei monti,
nei ruscelli freschi della mia infanzia,
nei cieli tiepidi di miei nordici paesi.
Dapprima non credevo ai miei occhi,
mai viste farfalle simili e così belle,
che nemmeno sapevo che esistessero.
Ma una cosa ho capito in quell’istante:
quella creatura poteva essere anche mia,
se solo avessi saputo non possederla mai.
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